VALLE MAIRA
(prov. Cuneo)
Piemonte - Italia




HANS CLEMER

Il Maestro di Elva

L'avventura di un fiammingo
in terra piemontese

di Adele Rovereto

Tratto da:
Pagine del Piemonte
periodico di arte, cultura, informazione e turismo
n7 Aprile 99 - Priuli & Verlucca, Editori



polittico di Hans Clemer nella parrocchiale di Celle Macra

Il Maestro di Elva
L'avventura di un fiammingo in terra piemontese

di Adele Rovereto

Lo scenario artistico, ricco e variegato, del Piemonte è costellato di opere singolari, che testimoniano la presenza di una cultura vivace e composita, aperta a influenze diverse, sia territoriali che oltremontane, non di rado riconducibile anche a specifiche correnti. Il Piemonte si configura, pertanto, come terra d'arte caratterizzata dalla presenza di artisti di diversa provenienza (non solo italici, ma anche - e in larga misura - francesi e fiamminghi), che nel corso dei secoli, grazie ad una intensa attività di mecenatismo, sia ispirato da esigenze locali sia promosso dalla corte sabauda, hanno dato vita ad opere di sorprendente resa tecnica ed espressiva nel segno di una dirompente originalità. Il caso del Maestro di Elva rientra nel novero di questi pittori, che, pur di matrice non autoctona, appartengono di diritto alla storia dell'arte piemontese per l'apporto significativo recato al nostro patrimonio artistico.
Hans Clemer, secondo un'attendibile identificazione presentata una ventina di anni orsono, é il nome dell'artista a lungo citato come Maestro di Elva in relazione agli affreschi che ornano la parrocchiale dei paese della Val Maira. Ma il pittore fiammingo non si limita ad esercitare la sua arte nella chiesa di Elva, giacché la sua presenza sul territorio saluzzese è comprovata da una serie di opere che spaziano dai soggetti religiosi alle raffigurazioni storico-mitologiche. Il percorso artistico di Hans Clemer, ricostruito con accuratezza filologica in questi ultimi anni, sulla base di quanto Noemi Gabrielli aveva già rilevato nel lontano 1957, evidenzia una cultura articolata, attenta a soluzioni innovative, nella quale si leggono suggestivi riferimenti a Gian Martino Spanzotti, già attivo nello stesso periodo del Maestro di Elva (lo scorcio dei XV secolo), anche se probabilmente di poco piú vecchio del fiammingo, ai ferraresi, a Piero della Francesca, ai pittori catalani.
Già nella grande pala con la «Madonna della Misericordia» di Casa Cavassa a Saluzzo, lo schema compositivo riprende modelli provenzali, ma riscattati da un'accentuata luminositá del colore, cui l'oro dello sfondo e dell'abito della Vergine conferiscono particolare brillantezza e leggerezza; Clemer dimostra di saper reinterpretare la lezione oltremontana con la vigoria, talora marcata, del disegno unitamente all'accentuato realismo ne,la caratterizzazione dei personaggi: la figura di S.Pietro si segnala per la resa fisiognomica, plebea e dolente ad un tempo, del popolano santo, chiamato, suo malgrado, a ricoprire un ruolo prestigioso e difficile. Gli angeli che fanno corona alla Vergine denotano la conoscenza delle opere del contemporaneo Spanzotti nel modellato scabro e persino un po' rude, così come simile a molte Madonne spanzottiane (soprattutto a quella del trittico della Galleria Sabauda di Torino) appare l'immagine di Maria per l'oro delicato delle chiome, il pallore quasi slavato del volto e la modesta bellezza delle fattezze del volto; la stessa Margherita di Foix, moglie del marchese di Saluzzo Ludovico II, ivi rappresentata con l'infante primogenito Michele Antonio, sembra confondersi, umilmente e cristianamente, nel novero degli altri personaggi.
Le committenze assegnate a Clemer dalla corte dei marchesi di Saiuzzo costituiscono un'occasione di esaltazione del prestigio raggiunto da siffatta famiglia; il 24 luglio 1494, data dei conferimento a Ludovico II, da parte di Carlo VIII di Francia, del collare dell'Ordine di San Michele (la massima onorificenza che un sovrano francese potesse concedere ad un suo alleato), diviene momento di celebrazione attraverso lo stupendo «Polittico» della Cattedrale dell'Assunta (il Duomo) di Saluzzo. Prendendo il 1494 come terminus post quem e tenendo conto del fatto che tra la fine del XV e l'inizio dei XVI secolo Ludovico II attraversa un periodo di singolare prestigio personale e politico (nel 1501 è nominato governatore di Asti e nel 1503 viceré di Napoli), il «Polittico» dovrebbe appartenere agli anni 1498-1500, quando la Cattedrale, benché ancora in fase di costruzione, consente tuttavia la celebrazione dei riti. I santi raffigurati, tra cui S.Chiaffredo e S.Costanzo protettori del marchesato, appaiono con tutta l'eleganza e la signorilità di gentiluomini rinascimentali: lo splendore degli abiti, accentuato dall'inserzione di particolari di raffinata fattura, le posture sicure ed insieme aggraziate conferiscono un fascino particolare alla maschia beliezza dei volti, creando, nel contempo, un piacevole contrasto con l'espressione seria e alquanto sofferente, accentuata dal particolare taglio degli occhi. La lezione rinascimentale lombarda, non disgiunta da suggestivi echi fiorentini, traspare dall'opera, ove lo stesso S.Sebastiano pare mediato da cartoni di botteghe toscane, come di sapore tosco-lombardo è la prospettiva, elegante nella sua stringata sobrietà, che fa da sfondo al martirio del santo. Ma non è solo la corte saluzzese a offrire committenze al valente fiammingo, ché anche le nobili casate cittadine, come gli ordini monastici, gli affidano importanti lavori. Su due pareti, nei cortile di Casa della Chiesa, Clemer affresca le «Storie di David», dando prova di un linguaggio intenso, caratterizzato dal segno forte e vigoroso, e attento ai dettagli realistici, particolarmente marcati nella resa dei visi e degli abiti. La cultura lombarda, pur stemperata, a tratti, con apporti diversi, si imprime nel richiamo rinascimentale del fregio a grottesche, nell'uso sapiente della luce e dei riflessi chiaroscurali, accentuati dalla scelta del monocromo. L'utilizzo sicuro della prospettiva, complice il richiamo leonardesco (e non solo), aggiunge una robusta bellezza al risalto delle scene: la veduta di una città fortificata acquista un tocco di particolare concretezza nella presentazione compatta degli edifici, mentre nell'ingresso di Saul in Gerusalemme l'incrociarsi delle lance sullo sfondo ha tutta la fascinosa suggestione di analoghe realizzazioni tratte da Paolo Uccello. Né son da meno gli affreschi rappresentanti le «Fatiche di Ercole», anch'essi à grisaille, che ornano la balconata al primo piano di Casa Cavassa. Pennellate rapide e segni incisivi fanno risaltare superbamente modellati plastici dei personaggi, ove più intensa appare la lezione desunta dai classici: la concezione anatomica è esaltata dal gioco chiaroscurale, mentre la ricerca prospettica è affidata a superfici modulate, spesso riproducenti un paesaggio roccioso, digradante verso lo sfondo. La maturità raggiunta dall'artista, soprattutto in quest'opera, accentua la lontananza dagli affreschi di Elva, significativamente nel modo di intendere il paesaggio e nello studio dei personaggi; gli apporti di una cultura composta e aperta alla ricezione di soluzioni diverse, puntualmente reinterpretate con sottile originalità, si riflettono in una eccezionale padronanza di mezzi espressivi e nella ricerca costante di realizzazioni innovative. Ma è alle pitture di Elva che la fama di Clemer è legata, né potrebbe essere diversamente, dal momento che proprio dagli studi su questi affreschi si è partiti per rileggere il cammino artistico del fiammingo. Il ciclo con le «Storie della Madonna e dell'infanzia di Cristo», culminante nella grandiosa «Crocifissione», risente ancora dell'impostazione scenica nizzardo-provenzaie (così da essere collocato cronologicamente tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo), animata da un'avvolgente luminosità di colore. Ma l'umanità espressiva dei personaggi e la solidità dell'impianto prospettico rimandano al linguaggio dello Spanzotti, come dolcemente spanzottiana appare la figura della Vergine nelle scene dell'«infanzia di Cristo». La oncezione della figura umana, salda e robusta, talvolta permeata da una piacevole rudezza, ricorre per tutti i riquadri del ciclo, ora fatta risaltare su intensi paesaggi dalla concreta impostazione rocciosa, come nella «Strage degli innocenti» o nella «Fuga in Egitto», più spesso sullo sfondo di eleganti strutture architettoniche, come nella «Cacciata di S.Gioacchino dal Tempio» o nell'«incontro di S.Gioacchino e di S.Anna».
La «Crocifissione» è un piccolo capolavoro intessuto di pathos e di sofferenza, dominato dal corpo illividito del Cristo; Gesù e i due ladroni si stagliano al di sopra della folla vociante e plebea, in cui si mescolano pie donne, uriosi, soldati, ergendosi, in una sorta di individualità eroica, quali portatori di valori alternativamente positivi e negativi, ma comunque sempiterni: il ladrone cattivo piega significativamente il capo a terra, verso la materialità ed il peccato, il ladrone buono alza il viso al cielo, già presago della sua futura destinazione; in mezzo, Cristo distende le Sue braccia, comprendendo il Bene e il Male, ma con la testa reclinata verso il Bene.
I ripetuti pentimenti dell'artista, le momentanee cadute di stile non inficiano la bellezza né l'importanza dell'opera, che denota, anzi, una certa pratica dell'affresco, pur in presenza di cedimenti tecnici. Il gusto per particolari ricchi è attestato dalle notevoli tracce di doratura sulle aureole e sulle vesti dei personaggi religiosamente più rilevanti, unitamente all'utilizzo dell'argento sui finimenti dei cavalli e sulle insegne militari. Inoltre, l'uso intenso del nero su gran parte delle figure e sul fondo, come base preparatoria per la campitura dell'azzurro ed il fatto che si tratti non di nerofumo, bensì di nero di mica conferma la formazione nordica dell'artista.

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