Dalla loro unione, sono nati il figlio Gino (classe 1934) e Clotilde (classe 1939).
QUEI CAMPI BLU COME LE ONDE...
La signora (che si esprime in un splendido piemontese) ricorda bene gli anni della propria infanzia: «Eravamo emigrati in Argentina dove io sono nata, vivevamo in campagna; mia mamma lavorava a casa e papà invece aveva le bestie e lavorava la terra: eravamo nove figli. Papà e mamma ci hanno fatto studiare, ma la scuola era lontana: e allora io e un mio fratellino venivamo messi su un cavallo, al mattino, per raggiungere la scuola. Arrivati, il maestro faceva scendere noi bimbi dalla bestia; e poi, finita scuola, ci rimetteva in sella.
Io ricordo benissimo noi bimbi che attraversavamo i campi di lino blu, c’era l’aria e a me quei campi sembravano le onde del mare…».
Giacomo Degiovanni, persona mite, spiega di «essere nato nella cascina lì sotto la piazza di Rossana, i miei affittavano la terra dei conti Gazelli, di lì siamo venuti via quando io avevo sei anni».
E la scuola?
«Eravamo tanti ragazzi, una trentina: le Elementari, allora, erano nel centro storico del paese, in quel locale che ora ospita la centralina telefonica».
Parlare con i signori Degiovanni è emozionante e, dopo qualche battuta per “rompere il ghiaccio”, il discorso prosegue in modo piacevole, facilitato anche dalla presenza della figlia Clotilde, che ascolta in religioso silenzio.
Maria Ponso, nel precisare che è ritornata in Italia quando aveva dieci anni per andare a vivere a Lagnasco («Ma i miei nonni erano di Rossana») racconta divertita il momento dell’incontro con il suo “principe azzurro”: «Ci siamo conosciuti a San Bernardo, Giacomo mi aveva fatto ballare, c’era un armoni, la domenica dopo lui è venuto a trovarmi a casa, a Lagnasco».
Dopo due anni di fidanzamento, le nozze.
LA ROSSANA DI UNA VOLTA
La Rossana di una volta com’era?
Giacomo Degiovanni spiega: «Il paese era popolato e la gente usciva di più, i rapporti erano famigliari; c’erano più bambini (adesso ce ne sono tanti di meno), noi dal 1931 viviamo in questa casa e io devo dire che vivere in questo paese mi è sempre piaciuto, perché i rossanesi sono abbastanza simpatici e non sono troppo falsi…». La moglie Maria muove la testa in segno di consenso.
Quali sono stati i cambiamenti più significativi che avete visto?
«I rossanesi sono più sinceri, in paese si sono fatte cose nuove. Ricordo bene che alla tessitura Wild di Piasco, negli anni d’oro, c’erano ottocento dipendenti, quasi tutte donne e la fabbrica si era sviluppata con il candeggio e molti lavori… La Wild ha chiuso nel 1977, i padroni (due fratelli) erano già morti: con la gestione dei figli, sono saltati fuori dissapori e la fabbrica così si è sgretolata, con la chiusura finale dei contorni poco chiari e forse anche con qualche trucco».
La chiusura della Wild ha rappresentato un vero e proprio dramma per molte famiglie della bassa Valle Varaita («Nella nostra famiglia, eravamo in tre a lavorare lì»), problema che si è poi risolto, con il tempo, con l’apertura delle fabbriche rossanesi.
UN PODESTA’ DI BUON SENSO
La parola “guerra” cosa vi fa venire in mente?
Giacomo Degiovanni risponde senza esitazione: «Ah, è una brutta storia. Soldati che partivano e piangevano, gente che moriva, brutti tempi…
Nella prima guerra mondiale, le donne mandavano avanti la casa e lavoravano la terra, perché gli uomini erano tutti via… anni difficili, senza dubbio».
E della seconda guerra mondiale, ha qualcosa di interessante da raccontare?
«Io ero segretario politico del Fascio. Ho sempre cercato di aggiustare tutto – confessa Giacomo Degiovanni – lasciando fare le loro cose dai partigiani e dai fascisti… non mi sono mai mischiato troppo, ho sempre cercato di essere prudente… Erano anni in cui quasi tutti sono stati fascisti, anche se sono discorsi difficili da far capire ai giovani d’oggi, che non hanno vissuto quelle esperienze. In famiglia magari un padre aveva un figlio e gli diceva: “Vai soldato”, il giovane però magari non voleva (“Non vado perché ci sono i fascisti”) e quelle erano brutte “grane” da risolvere…».
Per quasi un anno, fra il 1943 e il 1944, Giacomo Degiovanni è il podestà di Rossana: «Io cercavo di non fare dei torti, venendo incontro a tutti… Facevo molta attenzione a non sbagliare nessuna mossa, ma le assicuro che non è stato facile».
La guerra partigiana…
«Ah, un’esperienza terribile. Le mie sorelle gestivano la “Locanda D’Azeglio” (davanti all’attuale municipio), c’era sempre gente in casa: una sera i fascisti, la sera dopo i partigiani…».
ROSSANA BRUCIA
Se lo ricorda l’incendio del paese da parte dei tedeschi, il 12 luglio 1944?
«Quel giorno ero a Lagnasco, sono arrivato di sera, da lontano si vedeva Rossana bruciare… che pena, che disastro! Nei campi avevano dato fuoco al grano, tanti tetti sono stati distrutti dal fuoco».
E i tedeschi?
«I tedeschi sono tedeschi. Quando ero podestà mi venivano a consultare, mi dicevano: “Abbiamo bisogno di questo e di quello”, io cercavo allora di comportarmi come potevo, usando il buonsenso. Ho sempre cercato di non urtarmi né con i partigiani, né con i fascisti. Non mi hanno mai insultato».
In quegli anni, molti rossanesi lavoravano la terra: «La maggior parte della gente, lavorava la campagna. In pochi lavoravano alle fornaci di Pellini e Albonico. C'erano molte vigne, molti prati. Facevano il fieno per le numerose bestie… la castagna ha dato ricchezza a molti, con i funghi certe famiglie hanno campato bene».
LO SPOPOLAMENTO
Il dramma dello spopolamento delle nostre montagne…
«Negli anni ’60, le case si svuotavano. In regione Bracalla io ricordo 60/70 case abitate, oggi solo più una ventina non hanno chiuso i battenti. In quegli anni, chi è restato, si aggiustava tenendo anche quattro-cinque bestie, ma hanno tribolato anche loro… Noi abbiamo visto tanta miseria».
La miseria l’avete conosciuta anche voi?
«La miseria, no – risponde la signora Maria – ma nemmeno tanta abbondanza. Noi ricordiamo però tanta gente umile e povera, che viveva abbastanza male».
Non credete che la televisione abbia rivoluzionato i rapporti?
«Penso di sì – risponde Giacomo Degiovanni – però credo che i rapporti fra le persone oggi siano più sinceri».
E le veglie?
«C’erano i Circoli, ci trovavamo a Pasqua e Natale per ballare. Nelle stalle tutte le sere c’era della gente, per noi è stato un po’ diverso, perché avevamo l’Osteria e perciò avevamo sempre gente in casa».
Giacomo Degiovanni, rivela la figlia Clotilde, aveva una grande passione per la lettura: «Si trovavano sovente con le mie zie e papà leggeva per tutti “I miserabili” di Victor Hugo: lui leggeva ad alta voce, le zie (Teresa, 95 anni; Consolina, 87 annni) ascoltavano attente…».
IL SEGRETO PER INVECCHIARE
Quale è il segreto per diventare vecchi?
«Ho sempre lavorato e lavoro ancora, mi sento in pace con me stesso. Non sono mai stato invidioso degli altri» - risponde il signor Giacomo.
E la moglie Maria: «In sessanta anni che vivo a Rossana, non ho mai avuto questioni con nessuno».
Il segreto della felicità?
Entrambi rispondono ridendo: «Venire vecchi!».
Signora Maria, cosa la fa più contenta?
«E’ la mia famiglia. Noi saremmo tranquilli ancora oggi, ma le sorelle di Giacomo purtroppo sono malate, e per noi è un fastidio grosso».
È contenta di aver sposato suo marito?
«Sì, senz’altro».
Potesse tornare indietro negli anni, lo rifarebbe?
«Sì, ma sposerei mio nipote Giuliano, che è più giovane» - ride divertita la signora Maria.
E lei, signor Giacomo?
«Sono contento del matrimonio, abbiamo passato una vita semplice e tranquilla insieme…». Interviene la moglie: «Litighiamo anche, e sono io la più cattiva. Io sono più superba; Giacomo, invece, è sempre tranquillo».
È bello poter incontrare due persone come Maria e Giacomo Degiovanni, che nella vita si sono rispettati e voluti bene, dopo tanti anni passati insieme.
(Giacu e Maria hanno già lasciato entrambi questo mondo. L’intervista è dell’ottobre del 999.)