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Personaggi di Vallata : :

Alberto Burzio
Giornalista-Scrittore

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Personaggi di Vallata

Alberto Burzio
(Barba Bertu)

Giornalista-Scrittore

ALBERTO BURZIO, IL GIORNALISTA-SCRITTORE
CHE AMA LE PERSONE SEMPLICI

Frassino - Valle Varaita
Telefono : (+39) 0175 976102
Cell (+39) 347 5825566

Continua la pubblicazione di alcune "Storie di vita", raccolte da Alberto Burzio negli ultimi 30 anni.
L’intervista è del settembre 1999.

  • 04- STEVENOT CHAIX, le guerre e la prigionia


    STEVENOT CHAIX, le guerre e la prigionia
    «Regalo vent'anni a qualcuno..»

    STEVENOT:
    DA BERLINO A CHIANALE, A PIEDI

    CHIANALE – Per l’anagrafe è Stefano Chaix, ma per tutti è “Stevenot”: «Ero il più piccolo di tutti gli Steve (Stefano) che c’erano a Chianale, sette od otto, di lì è venuto fuori il mio soprannome. Io sono nato il 12 gennaio 1918, vado perciò verso gli 82 anni, e gli ultimi sono i più pesanti!».
    Di origini chianalesi, “Stevenot” Chaix è uno di quei montanari il cui aspetto, pur con il passare delle stagioni, non muta: lo conosciamo da trent’anni, e il suo viso, i suoi atteggiamenti, il suo modo di fare ci sembrano sempre gli stessi.

    A SEI ANNI GIA’ AL PASCOLO
    Cosa ricorda della sua infanzia?
    “Stevenot”, nella cucina di casa sua dove avviene il nostro colloquio e dove è circondato dall’affetto dei suoi famigliari, sorride: «Ho tanti ricordi… Avevo appena sei anni e già andavo al pascolo al Colle dell’Agnello: ricordo bene ancora adesso il freddo di certe giornate, porca miseria… ci andavo con mio fratello Pietro, che aveva due anni più di me: io ero così piccolo che le pecore erano più grandi e mio fratello mi diceva: “Prendi la corda del montone!”. Stavamo al pascolo fino alla sera, e poi tornavamo a casa».
    Li ricorda bene i suoi genitori?
    «Eccome! Mia madre era alta, magrolina. Ricordo anche bene la mia nonna, io avevo appena quattro anni quando è morta: portava la “chamizolo” rossa, e aveva sempre le scarpe basse. Mio padre si chiamava Steve Chaix, lo ricordo molto bene, noi eravamo sei figli (tre maschi e tre femmine) di cui tre ancora viventi».
    E la scuola?
    «Il maestro Chaix, che zoppicava un po’, era molto severo: ci metteva in ginocchio e ci dava le bacchettate. Allora, c’erano due scuole, i bimbi che frequentavano erano quasi cinquanta, e due erano i locali che ci ospitavano: uno l’attuale ex-scuola, l’altro era la casa di mio padre (dove sta mia cognata Rina), prima del bar dei Dao».

    L’EMIGRAZIONE IN FRANCIA
    Stefano Chaix, che ha una memoria lucidissima, ricorda l’emigrazione stagionale verso la Francia, un fenomeno che ha interessato molti chianalesi e pure lui: «Erano gli anni 1937, 1938 e 1939: a novembre partivamo, per fare ritorno a Chianale in primavera, ad aprile. Facevamo i negozianti di stoffa e stavamo vicino ad Avignone: giravamo casa per casa, quello era un mestiere buono! Erano bei tempi, io ero giovane…».

    LA CARTOLINA-PRECETTO
    Mentre è in Francia, alla fine del marzo 1939, a “Stevenot” Chaix arriva la cartolina precetto: «Dovevo presentarmi il 4 aprile a Cuneo, sono rientrato allora col treno in patria, dopo essere andato dal console a Marsiglia; sono passato a fare un saluto a Chianale e poi ho iniziato facendo la “guardia di frontiera” a Demonte, poi al Colle della Bergera: passata l’estate là, sono andato destinato ad Alba, dove si stava decisamente meglio: ero nel 243° di Fanteria… poi sono stato destinato all’Albania. In Albania sono stato quattro-cinque mesi, erano brutti posti e nevicava anche e noi eravamo in una buca, male equipaggiati».
    E gli albanesi?
    «Ah, erano selvaggi, avevano paura di parlare con gli italiani, mica come oggi: gli albanesi sono cambiati, da così a così…».
    Dopo l’Albania, al montanaro chianalese Stefano Chaix tocca la campagna di Grecia, dal 1941 al 1943: «Per fortuna che sono arrivati i tedeschi, sennò in Grecia lasciavamo altri trentamila morti. I greci? Mica erano stupidi, erano più furbi degli albanesi…».

    IL PRETE ORTODOSSO GIUSTIZIATO
    Chi scrive, una quindicina d’anni fa ha visitato l’isola di Creta, dove gli italiani – a differenza dei tedeschi – vengono ricordati con simpatia: eravate, “Stevenot”, migliori dei tedeschi?
    «Ah, la guerra è guerra – sospira Stefano Chaix, mettendosi le mani nei pochi capelli che gli sono rimasti – io ricordo che in un posto che si chiamava Modi, abbiamo ucciso il prete ortodosso e suo figlio… a me, è andata bene, perché il mio tenente mi ha detto: “Tu Chaix sei un comunista, vai di guardia alle carrette!”. “Signorsì”, ho risposto: e per fortuna non sono stato io ad ammazzare quei due: ricordo bene la moglie del prete, baciava le mani a tutti, chiedeva piangendo la grazia per suo marito. Non c’è stato nulla da fare: il prete ortodosso aiutava i partigiani di laggiù, e qualcuno aveva fatto la spia».
    Mentre è ad Atene, Stefano Chaix fa domanda, con un suo amico, per essere destinato fra i carabinieri: «Il mio amico l’hanno scartato, io volevo tirarmi indietro, invece ho dovuto fare il corso da carabiniere: così mi hanno mandato ad Arta, dopo aver preso il traghetto da Salonicco: e laggiù i tedeschi mi hanno fatto prigioniero, e sono finito in Germania. Era il mese di ottobre 1943».
    Il prigioniero dei tedeschi Chaix cammina per venti giorni a piedi, fino a raggiungere la Macedonia bulgara («Quanti campi di tabacco, laggiù!»), di lì viene caricato su di un treno per finire in un campo di concentramento tedesco, a Fustemberg sull’Oder, dove si ferma cinque mesi.

    PRIGIONIERO DEI TEDESCHI
    «Lì non stavo troppo male – racconta “Stevenot” – mi ero fatto amico con i prigionieri francesi, al di là del reticolato del nostro campo: ci mandavano a piantar patate, io però a lavorare ci sono andato poco, mi sono sempre aggiustato con il commercio delle sigarette, che prendevo dai francesi… successivamente, sono finito a lavorare in una fabbrica di apparecchi, e poi è arrivata finalmente la fine della prigionia».
    Cosa ricorda della prigionia?
    «Ci portavano a lavorare, in gruppi di 40, o 50, o 60 persone. Ricordo che avevano preso un gruppo di artiglieri alpini, ragazzi ben piantati, per mandarli a lavorare in un bosco: dopo un mese, quando sono ritornati al campo, erano scheletri, irriconoscibili. Il mangiare? Mangiavamo ben poco. Al mattino, un po’ di crusca in una brodaglia che chiamavano tè; a mezzogiorno, un mestolo di rape; alla sera, ci davano un minuscolo pezzo di burro (o margarina, non lo so) con pochissimo pane nero, al massimo due etti a testa… la fame l’abbiamo fatta, sempre! Io ricordo un certo Pietro di Busca, gli davo sovente del pane e lui, riconoscente, mi diceva sempre: “Chaix, tu mi hai salvato la vita!”».

    «I RUSSI? PEGGIO DEI TEDESCHI»
    La liberazione arriva con i russi, il 23 aprile 1945: «Ma noi siamo rimasti lì ancora fino al 9 maggio, avevamo paura e non sapevamo bene cosa fare. Poi siamo partiti, ma io penso che era meglio stare un mese con i tedeschi che con i russi per un giorno! I russi erano crudeli…».
    Il ritorno in Italia avviene, a piedi, e con “Stevenot” c’è una quindicina di prigionieri, quasi tutti lombardi: «Ho camminato per 52 giorni a piedi, dalle porte di Berlino fino a Chianale, dove sono tornato agli inizi di luglio».
    Cosa ricorda del suo viaggio di ritorno?
    «Ah, era dura, più dura che in campo di concentramento. I tedeschi che incontravamo lungo il cammino, e ai quali chiedevamo quattro patate per riuscire a proseguire il viaggio a piedi, ci urlavano: “Rauss, Badoglio!” Però qualche volta le patate ce le davano. Erano i russi che ci facevano tribolare: noi camminavamo due-tre giorni, poi loro ci prendevano e ci riportavano indietro: “Rimanete lì, vi verranno a prendere”».

    IL RITORNO A CHIANALE
    E quando è arrivato a Chianale, ai primi di luglio?
    «Col tramway, sono arrivato a Venasca. Poi sono salito su un camion, che mi ha portato a Sampeyre, era quasi buio. A Frassino sale un’altra persona che ho riconosciuto solo a Sampeyre: era mio cugino Antonio. Ho dormito da lui e il giorno dopo ho raggiunto Chianale. Ricordo l’emozione di quei momenti, arrivato a casa non c’era nessuno, la mia mamma era già su alla baita, al Colle dell’Agnello. Quando ci siamo potuti riabbracciare, abbiamo fatto festa…».
    Ci racconti di quando si è sposato…
    «Mia moglie “Neno”, Maddalena Gerthoux, l’ho sposata nel 1947, dopo un anno di fidanzamento: mi ricordo bene il giorno delle nozze, abbiamo fatto un po’ di festa con i parenti, facendo il pranzo insieme».
    “Stevenot” ricorda che allora Chianale era ancora popolata, il paese era vivo. Dall’unione con “Neno” Gerthoux, sono nati tre figli (Lorenzo, 51 anni; Anna, classe 1951; Emma, classe 1952, più altri due figli gemelli, nati morti).
    La moglie di “Stevenot” è mancata nel 1996, e lui ricordando la vita passata insieme a lei ha gli occhi lucidi: «Non ci siamo mai picchiati!
    Andavamo d’accordo, ci siamo voluti bene».
    “Stevenot” adesso ha anche quattro nipoti, e due pronipoti: la famiglia cresce e l’affetto dei figli e di tutti i famigliari lo circonda. Per tutta la vita, ha fatto il contadino (e continua a farlo). In più, ora è anche bisnonno…
    «E mi piace. I nipoti sono tutti bravi, i pronipoti – racconta ridendo “Stevenot” – mi fanno un po’ arrabbiare!».
    Torniamo ancora un momento alla guerra…
    «I tedeschi? Molto duri come disciplina, ma facendo il proprio dovere riuscivi a sopravvivere. I russi, invece, facevano paura… io ricordo un giorno: eravamo tutti nella nostra baracca. Arriva un carro armato russo ed entra un soldato, era ubriaco: pianta un coltellaccio sotto il tavolo, voleva farci bere la bottiglia di vodka che aveva in mano. A un certo momento, vede in un angolo i ferri del barbiere, e voleva tagliarmi i capelli: io brontolavo e avevo paura. Per fortuna, arriva un altro soldato russo e lo sgrida. Io me la sono svignata. Appena uscito, ho sentito “pam-pam”, due colpi di pistola: un abruzzese era stato ucciso al posto mio, l’ho scampata bella, la guerra – “Stevenot” si mette le mani nei capelli – è stata un’esperienza tremenda».
    E i partigiani?
    «Le parlo dei partigiani di Tito, erano terribili; se ti prendevano, non avevi scampo. I partigiani di qua? Molti erano “partigiani del sale”, se lo trovavano se lo portavano via, molti lavoravano per la loro borsa; gli altri no, combattevano per la patria».
    Come è la storia del “contrabbando del sale” e di quei traffici che qui, in prossimità del Colle dell’Agnello, ci sono sempre stati?
    «Quando sono ritornato, dopo la prigionia, il commercio del sale era quasi finito. Prima, no: portavamo il riso sul colle e portavamo giù il sale.
    Io ricordo una volta: avevo portato quattro fisarmoniche da vendere. Tre le vendetti bene, le avevo comprate a Cuneo; una la lasciai alla baita. E il pastorello imparò a suonare, e suona ancora oggi, e vive in Francia».

    «REGALO 20 ANNI»
    Alcuni studiosi sostengono che la guerra partigiana ha disturbato i numerosi traffici con i francesi…
    «Sono mica stati i partigiani a disturbare, sono stati soprattutto i tedeschi: i chianalesi che erano “pizzicati”, venivano deportati in Germania».
    Vedendo oggi in tv la guerra, cosa pensa?
    «E’ molto brutto, eh, certe Nazioni sono andate avanti, altre sono andate indietro».
    Ripensando alla vita che ha fatto, cosa dice?
    “Stevenot” Chaix ride divertito: «Eh, venderei (o regalerei!) una ventina d’anni a qualcuno. Potessi tornare indietro, rifarei tutto quello che ho fatto, non sono pentito di nulla».
    Mentre parliamo, in cucina è un viavai continuo di figli, nipoti e pronipoti. Stefano Chaix ci dice ancora: «Ho sempre vissuto a Chianale, dove ho fatto il contadino, perché mi piace molto. E sono stato fortunato ad avere una famiglia così». Poi, con gli occhi lucidi, continua ad arrotolarsi la sigaretta iniziata da poco: «A pensarci bene, se sono ancora qui, è perché Dio e la Madonna mi hanno protetto in più di una occasione, in diversi momenti la morte mi è passata vicino, ma non mi ha preso».
    E il volto di “Stevenot” s’illumina di un bel sorriso.

    (L’INTERVISTA E’ DEL SETTEMBRE 1999)
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