06 - PADRE CESARE, l’ “anima” del Monastero di Pra d’ Mill
PADRE CESARE, l’ “anima” del Monastero di Pra d’ Mill
BAGNOLO PIEMONTE – Padre Cesare Falletti, monaco cistercense, ha gli occhi azzurri, lo sguardo sorridente e la figura del saggio. È lui l’ “anima” del nuovo monastero, nato in questi anni a Pra d’ Mill, in una comba esposta a mezzogiorno, sotto la mola di Punta Ostanetta (2.375 metri), tra i boschi di castagni, a 900 metri di quota.
A Pra d’ Mill sorge il “Castlas”, casa-forte di montagna costruita nel ‘700 da un conte di Bagnolo, che era soldato dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria.
UNA OASI DI PACE
I proprietari di Pra d’ Mill, Aimaro e Leletta d’Isola, negli anni scorsi hanno donato il “Castlas” e i terreni ai monaci cistercensi dell’isola di Lérins (in Francia): e così è nata l’idea del monastero sulle Alpi Cozie, a una dozzina di chilometri da Bagnolo, in un’oasi di pace, lontano dai clamori del mondo.
Nel 1988, i monaci iniziano a venire a Pra d’ Mill: «Da soli o in gruppi, per giorni di riposo o di ritiro – sorride padre Cesare – abbiamo iniziato a frequentare questi luoghi, iniziando a restaurare qualche vecchio edificio».
Il primo nucleo del monastero cistercense è il “Castlas”, ben restaurato: vicino c’è una chiesuola bianca, appena sopra le baite e la foresteria.
Ma procediamo con un po’ di ordine, iniziando dalla “carta d’identità” di padre Cesare.
«Sono nato il 22 ottobre 1939 a Torino, ho trascorso gli anni della mia giovinezza a Roma. La ricerca della risposta alla chiamata di Dio non è stata facile, il percorso è stato un po’ sinuoso. Dopo il Liceo, mi sono iscritto a Legge: ma non mi sono laureato. A 22 anni sono entrato in Seminario, anche se “sentivo” dentro di me che quella non era proprio la mia strada…».
Ordinato prete diocesano, don Cesare Falletti ritorna a Torino, dove assume l’incarico di vicerettore del Seminario delle vocazioni adulte.
GLI ANNI DEL CONCILIO
«Erano gli anni del Concilio – racconta padre Cesare – un tempo forte, per me di una buona formazione spirituale e intellettuale e di conoscenza della Chiesa».
Nel 1971, don Cesare Falletti va in un monastero in Savoia: inizia così a conoscere la vita monastica francese. Due anni dopo, entra nel monastero dell’isola di Saint-Honorat (Iles de Lérins), di fronte a Cannes, dove padre Cesare resta fino al 1995.
Concluso il periodo di noviziato, padre Faletti partecipa alla vita del monastero francese, svolgendo varie mansioni (tra le quali quelle di distillatore e di cuoco).
Dall’anno 1991, diventa “Maestro dei Novizi”.
PERCHE’ MONACO CISTERCENSE
Perché è entrato proprio fra i monaci cistercensi?
Padre Cesare sorride: «Ho scelto – o, meglio, il Signore ha scelto per me – un’Abbazia cistercense, perché i valori di quest’Ordine (la povertà, la semplicità di vita, la liturgia, la vita fraterna, il lavoro manuale, la solitudine silenziosa, la vita nascosta, con una forte devozione alla Vergine) corrispondevano a quello che andavo cercando».
Pochi anni dopo, a Lérins, entrano nel monastero alcuni giovani italiani e intanto gli ospiti italiani (piemontesi, liguri, veneti e lombardi) sono sempre numerosi.
«Si capiva che c’era una chiamata da parte dell’Italia – sottolinea padre Faletti – e questa si è concretizzata con un invito, nel 1986, dell’arcivescovo di Torino di allora».
Dopo i primi anni di presenze saltuarie, nel luglio 1995 l’abate di Lérins manda due monaci, per iniziare una presenza permanente a Pra d’ Mill: nasce così il “Monastero Dominus Tecum”.
Dopo due anni, arriva un terzo monaco; e l’anno scorso, il quarto: oggi, con padre Cesare ci sono fratel Isidoro, fratel Zeno, fratel Paolo. Altri due monaci – in formazione a Lérins – li raggiungeranno fra non molto tempo.
Padre Cesare, cosa è cambiato a Pra d’ Mill da quando siete arrivati voi?
«Sul posto, tante cose. Abbiamo restaurato molto, e abbiamo dovuto riprendere i lavori per la foresteria, perché con il nostro arrivo è cominciato anche l’afflusso di gente che vuole vivere qualche giorno o qualche momento della giornata insieme a noi».
Nel frattempo, i monaci si sono rimboccati le maniche: hanno pulito i terreni, soprattutto sistemando i boschi che erano molto danneggiati dall’incuria e dagli incendi; hanno piantato alberi (più di 700) curando i meli, i peri e i castagni. Il restauro delle vecchie abitazioni è proceduto – nel pieno rispetto dell’ambiente e dello stile delle case preesistenti – e sono già stati ricavati non solo la foresteria, ma pure il monastero in cui potranno vivere stabilmente nove monaci.
MONACI FRA I BOSCHI
«Per la foresteria siamo stati aiutati da contributi Cee – spiega padre Falletti – per tutto il resto è la Provvidenza (grazie all’aiuto, all’affetto e alla solidarietà di tanti amici) che hanno permesso l’avanzata sorprendente dei lavori.
L’accoglienza da parte delle Chiesa e della popolazione locale è stata sempre più che cordiale e sorprendente, per noi, l’affluenza degli ospiti».
Oggi, aggiunge padre Cesare, «dobbiamo pensare a costruire una chiesa: perché l’attuale cappella è in verità il refettorio degli ospiti, ma per garantire loro una certa tranquillità e solitudine, è necessario condurre altrove chi viene solo per pregare e per visitare. Naturalmente, il problema è di natura economica».
Con una battuta, padre Falletti dice che «dobbiamo trovare l’equilibrio fra una santa prudenza e un’altrettanto santa imprudenza! ».
«SOLI E DIMENTICATI DA TUTTI»
Essere monaci oggi: cosa significa per voi?
«Vuol dire dare il primato a Dio, vuol dire vivere preferendo sempre la carità al successo, all’efficienza, al benessere. Dobbiamo saper essere dei veri adoratori di Dio, attenti all’uomo: sapendo donare la nostra vita in un atto di amore per Dio e per gli altri uomini, nostri fratelli, come Cristo in Croce. Il monaco deve sapere essere solo e dimenticato da tutti, pronto però a condividere con tutti (senza distinzione alcuna) coloro che cercano quella che è la nostra ricchezza: il silenzio, la preghiera, la pace di questo luogo, insieme a un cuore fraterno che accoglie ma non fa domande. Cercando solo Dio e tutto ciò che Lui vuole».
Chi viene a bussare all’uscio di Pra d’ Mill? E cosa cerca?
«Viene molta gente: vengono in tanti in questa Valle a cercare Dio, anche se non sanno nominarlo. Persone di tutte le età, preti, laici, uomini e donne, impegnati e non. Cosa vengono a cercare? Non lo so, o, meglio, so che dietro a quella che neppure loro sanno, sono alla ricerca di Dio, della bellezza del suo volto sorridente e accogliente, misericordioso e stimolante verso la pienezza della vita».
Le giornate dei monaci scorrono all’insegna dell’ “ora et labora” (prega e lavora): pregano liturgicamente con sette “uffici” al giorno (che si susseguono dalle quattro del mattino fino alle otto della sera) e pure in lunghi tempi di “Lectio divina” e preghiera personale e solitaria.
«Viviamo silenziosi – spiega padre Cesare – perché la preghiera invada tutto il nostro quotidiano. Nelle ore di lavoro, nel cuore delle nostre giornate, per ora ci preoccupiamo di mettere a posto Pra d’ Mill e di scoprire quali sono le possibilità future di lavoro artigianale. Anche l’accoglienza degli ospiti fa parte del nostro lavoro e ci occupa abbastanza tempo. La Messa, nei giorni feriali, è verso mezzogiorno; di domenica, alle ore 10.30».
PREGHIERA E LAVORO
Perchè la preghiera, il “deserto” per voi è così importante?
«Pregare è qualcosa di vitale, perché significa accettare e acconsentire alla presenza di Dio, che ci attira e ci salva; pregare è rispondere a un amore gratuito, sorgente della nostra vita e di cui abbiamo un bisogno assoluto. La preghiera ci permette di vederci e accettarci così come siamo, visto che siamo amati così: in questo sguardo su noi stessi, non narcisistico, dobbiamo imparare ad amare il prossimo».
Quanto al “deserto”: «E’ la situazione in cui siamo noi stessi, senza maschere davanti a Dio. E il monaco è colui che sa vedere le proprie miserie, le proprie debolezze, come anche la propria bellezza, solo perché Dio lo guarda e lo ama. In tal modo acquista un cuore universale».
Che cosa è cambiato, per voi, su queste montagne, rispetto alla vita di Lérins?
«Tutti e quattro, sentiamo che non è cambiato nulla.
La vita è la stessa, il nostro cuore anche. Cambiamo le cose esterne: la forma e le dimensioni della Comunità religiosa, là eravamo trenta, qui siamo in quattro. Capita che là avevamo le mareggiate, qui ci sono le nevicate: in realtà, la vita che viviamo è la stessa, ci sono mesi in cui diciamo “se posso, vengo”: qui come in Francia. La vita monastica, quando l’uomo si spoglia delle cose accessorie, è uguale, dappertutto».
L’INTERVISTA A PADRE CESARE E’ DELL’APRILE 2000.