Il Monte Bracco
La Montagna di Leonardo
Tratto da : La Montagna di Leonardo
Pubblicato da: Ufficio Turismo IAT - Comunità Montana Valli Po, Bronda e Infernotto - PAESANA (CN)
UN NUOVO VIAGGIO
Nel 1511 Leonardo da Vinci scrisse del Monte Bracco; a cinquecento anni di distanza sussistono le stesse e “altre” suggestioni che rendono il Monte Bracco una montagna unica che vi invitiamo a scoprire. Una balconata, di fronte al Monviso ed al Po, da cui affacciarsi, entrando in un grande laboratorio geologico, botanico e faunistico, un infinito, vertiginoso libro dove leggere le testimonianze affascinanti della preistoria: le incisioni rupestri, lontani segni di un passato ormai al confine della fantasia. Ma sul Monte Bracco si percepiscono “altri” segni: quelli del lavoro di tante genti che hanno trasformato la montagna, lavorandone la pietra con infinite fatiche nelle antiche cave, l’incanto ed il rigore dell’architettura contadina, il fascino delle misteriose “barme”, la complessità del reticolo dei percorsi rurali che si snoda sulla montagna e la diversità del paesaggio “costruito”, inserito in un ambiente austero e di affascinante bellezza con una armonia creativa su cui dobbiamo nuovamente riflettere.
Il Monte Bracco vi attende con la segreta speranza che vogliate percorrerlo con curiosità, scoprirlo con saggezza e rispetto, apprezzarlo con giovanile entusiasmo e infine coglierlo, ritrovando il tempo e il ritmo di antichi passi, come esperienza concreta, personale e collettiva, di una nuova conoscenza dell’immenso lavoro della natura e dell’uomo.
|
GEOLOGIA
Dopo il Monviso è certamente il Monte Bracco (1.307 m) la montagna più amata dalla gente che abita il saluzzese, affascinata anche da un'antica leggenda secondo cui questo ampio massiccio sarebbe un vulcano spento. Più che una leggenda per molti, giovani compresi, una certezza, difficile da confutare, che avrebbe origine nel fatto che, d’inverno, dopo una nevicata, la neve, soprattutto sul versante meridionale, si scioglie prima sulle pendici della montagna che nel fondovalle. La spiegazione del fenomeno è ovvia, in quanto i raggi del sole invernale, bassi all'orizzonte, colpiscono le pareti della montagna con un angolo di incidenza maggiore, scaldandole. Gli abitanti della zona, invece, fin dalla notte dei tempi e ancora oggi ne sono convinti, hanno sempre ritenuto valida la storia popolare, pensando che le rocce della montagna siano ancora calde perché un tempo, era un vulcano.
La sua genesi si data nel Devoniano, con un’evoluzione contemporanea a quella della storia della catena alpina, avvenuta tra i 200 ed i 65 milioni di anni fa, quando, a separare la Zolla Euroasiatica da quella Africana, in pratica gli attuali continenti, c'era un oceano, il Mare della Tétide. Il suo fondo era costituito da basalto, una roccia ignea derivata dalla solidificazione del magma rovente emerso dal mantello, la parte volumetricamente maggiore della Terra (82%), che si trova al di sotto della crosta, lo strato più esterno. Questo "pavimento" viene poi ricoperto da vari sedimenti. Con lo sprofondare del fondo oceanico (subduzione) sotto la Zolla Africana, questa entra in collisione con quella Euroasiatica, originando il sollevamento della catena alpina che, sebbene sia iniziato ben 70 milioni di anni fa, è ancora tuttora in atto. Le enormi pressioni e le elevate temperature, che accompagnano l’evento, provocano notevoli trasformazioni nelle rocce preesistenti, dando luogo alla formazione di rocce metamorfiche.
La zona del Monte Bracco rientra nel complesso cristallino Dora-Maira che comprende le vallate alpine che vanno dalla Val di Susa, a nord, alla Valle Maira, a sud e il fronte orientale di questa formazione geologica è più avanzato proprio in corrispondenza del massiccio del Bracco. Come tutti i rilievi anche questa montagna ha subito notevoli fenomeni erosivi che l’hanno modellata fino allo stato attuale. In particolare il fenomeno è più evidente sul versante orientale, alla cui base è situato l'abitato di Envie, che presenta pareti rocciose molto verticali. Un complesso di fattori climatici e geologici, avvenuti presumibilmente circa due milioni di anni fa, hanno originato la particolare morfologia, che si nota bene osservandola dalla pianura di Envie e di Revello.
Le rocce che caratterizzano il Monte Bracco sono di tipo metamorfico e sono rappresentate da gneiss.Queste hanno come caratteristica fisica principale la scistosità, che è legata alla disposizione uniforme dei cristalli lamellari che la costituiscono, consentendo una facile sfaldabilità della pietra lungo dei piani che vengono comunemente detti vene. Tale proprietà è stata sfruttata da sempre dall'uomo per realizzare le lose, ampie pietre, piatte e sottili, usate sorattutto per la copertura dei tetti. Un abbondante giacimento di quarziti micacee, sulla sommità del Monte Bracco, che presentano analoga struttura, le cosiddette "bargioline", è sfruttato da secoli per ricavarne pietre da pavimentazione di un bel colore giallo (più pregiate) ed anche grigio. I palazzi dell’antico Marchesato di Saluzzo e molte altri, non solo in Piemonte, sono ricchi di pavimenti realizzati con questo materiale
Aldo Molinengo
|
VEGETAZIONE
L'ampiezza del massiccio del Monte Bracco, le varie quote altimetriche, le diverse esposizioni al sole e le conseguenti situazioni climatiche, sommate all'ampia varietà di suoli, determinano la presenza di numerosi tipi di habitat che non possono non influire sullo sviluppo della vegetazione spontanea.
Per quanto riguarda le piante arboree, su tutte prevale il bosco di latifoglie, di castagno (Castanea sativa) fino alla quota media di circa 900 metri, mentre più in alto è sostituito da essenze spontanee che, a seconda delle zone, possono essere rappresentate prevalentemente da betulla (Betula verrucosa), carpino (Carpinus betulus), faggio (Fagus sylvatica) o nocciolo ( Corylus avellana).
La faggeta sicuramente è regredita, come pure è avvenuto per il carpino e l'ontano e attualmente presentano solo più formazioni sporadiche, tutte nella fascia altimetrica più elevata. Diverso è il caso della betulla, che invece tende a diffondersi notevolmente, soprattutto nelle zone più in alto, un tempo destinate a pascoli dagli abitanti dei comuni posti sulle pendici della montagna, ricoprendo, in particolare, le aree più rocciose o ricche di detriti , grazie alle sue ottimali capacità di adattamento. Ma si può trovare anche a quote modeste, come nel caso dell'estremo lembo sud-orientale, nel territorio del Comune di Revello, immediatamente a ridosso della strada che collega questo paese con quello di Rifreddo.
A causa dell'intensità della pressione antropica, datata storicamente, sono praticamente scomparse le estese formazioni vegetali originarie di quercia (Quercus sessiliflora e Quercus pubescens), sostituite soprattutto dal castagno. Anche la zona del carpino (Carpinus betulus) si è notevolmente ridotta a pochi esemplari sparsi. Come esempio sussiste, per il carpino, il toponimo della Fontana del Carpo, una sorgente posta appena sotto la Croce di Rifredddo (1187 m) e, per la roverella, nel territorio di Sanfront, Rocca la Casna, sede di importanti incisioni rupestri.
L'ambiente del Monte Bracco ha visto insediarsi tutt'intorno al rilievo, sia sui territori montani che su quelli già verso la pianura, diverse comunità, certamente da almeno un millennio ma, molto probabilmente, ancora prima, come testimoniano le suddette incisioni sulla roccia. E' stato, quindi, sede di coltivazioni, fino ad una quota media di circa 700-900 metri, dove sono localizzate numerose meire, le case che si trovano fino a questa fascia altitudinale e le suggestive balme, rocce spioventi, al riparo delle quali l'uomo ha addossato muri di abitazioni. Oggi circondate dalla boscaglia, fino a non molti decenni fa erano la dimora permanente di famiglie di agricoltori, che qui strappavano alla terra l'essenziale per vivere, anche se è probabile che ci fosse, in proprietà, un qualche appezzamento di terreno a quote più basse o in pianura. In tutto questo mescolarsi di ambiente naturale ed ambiente antropizzato, la parte predominante di vegetazione è data dal castagno, una pianta non originaria di queste zone, né di altre in Europa, dove è ovunque ampiamente diffuso, bensì importata dai Romani dall'Asia Minore, sua terra di origine e inserita ovunque essi hanno spinto il loro controllo territoriale. Infatti ne intuirono subito l'enorme importanza economica per l'uomo, insediato nelle zone collinari e montane fino a circa 1000 metri di quota. Non c'è stato, infatti, solo uno sfruttamento delle ottime qualità del suo legno ma soprattutto un utilizzo alimentare del frutto, la castagna, ricco di amido e, dunque, con un elevato potere energetico.
Il bosco di castagno è stato generalmente governato a ceduo composto. Alcuni alberi, tagliati alla base (ceduo), emettono germogli dal ceppo, conferendo alla pianta un aspetto cespuglioso e consentendo così, con tagli periodici, di ricavare legname per pali o altro. Altri sono stati lasciati crescere naturalmente, costituendo la fustaia. In quest’ultimo caso, ovviamente, si privilegia la produzione dei frutti.
Aldo Molinengo
|
FAUNA
La varietà di ambienti naturali o scarsamente antropizzati del Monte Bracco (dalle pendici boscose della parte bassa ai dirupi e alle pietraie di quella medio-alta, fino alla spianata sommitale rimboschita a conifere, alternata a praterie aride e cave abbandonate), si rivela preziosa per la sopravvivenza di molteplici specie faunistiche, tra le quali emergono alcune presenze di straordinario rilievo, riferite in particolare all'ornitofauna.
Tra i grossi mammiferi, si stanno diffondendo gli ungulati (cinghiale, capriolo), favoriti rispetto ad altre specie d'interesse venatorio come lepre e minilepre (quest'ultima frutto di reintroduzioni).
Le macchie arbustive offrono riparo e nutrimento ai roditori: lo scoiattolo, il ghiro, il moscardino, il topo campagnolo, a loro volta preda di rapaci o carnivori come la volpe, la faina, la donnola.
L'unico mustelide di grossa taglia sopravvissuto risulta il tasso, poiché viene data per estinta la lontra, che in passato popolava i corsi d'acqua della zona. Tra gli insettivori non mancano il riccio, la talpa e il toporagno, mentre i ripari sottoroccia più profondi (barme) ospitano piccole colonie di pipistrelli.
Versanti soleggiati e pietraie costituiscono ecosistemi idonei per la vita dei rettili: la vipera aspide, il biacco, la rara coronella austriaca, la lucertola muraiola e il ramarro; l'orbettino e la natrice o biscia d'acqua invece prediligono le zone umide, frequentate pure dagli anfibi come la rana rossa, il rospo comune, la salamandra pezzata.
Come già accennato, il Monte Bracco ospita importanti specie ornitologiche: l'alternanza di roccioni strapiombanti e zone boschive favorisce la nidificazione di parecchi rapaci diurni (poiana, gheppio, sparviero, astore); importantissima la presenza in zona di coppie nidificanti di falco pellegrino, più che mai bisognoso di tutela perchè, alle soglie del 2.000, la sua sopravvivenza è compromessa da inammissibili saccheggi delle nidiate.
Sempre sul massiccio del Monte Bracco, è stato segnalato un altro splendido rapace, il biancone, noto anche come "aquila dei serpenti" per via delle prede che cattura abitualmente.
Gli strigiformi più comuni nei boschi sono l'allocco e la civetta, riconoscibili dai caratteristici richiami notturni.
Facilmente identificabili con lo stesso criterio i corvidi (cornacchia nera, corvo imperiale, ghiandaia, gazza), il cuculo, il colombaccio, il picchio verde e il picchio rosso maggiore; assai più elusivi invece il picchio muratore, il coloratissimo picchio muraiolo, il rampichino, l'upupa, il succiacapre.
I passeriformi più conosciuti, di cui si fornisce qui un incompleto elenco, sono il merlo, lo storno, il codirosso, la ballerina bianca e quella gialla, la cinciallegra, la cinciarella, la cincia mora, il codibugnolo, l'usignolo, il pettirosso, la capinera, il fringuello, il cardellino, il verdone, l'allodola e per concludere due volatili minuscoli come il regolo e lo scricciolo.
Costanzo Lorenzati e Mario Chiabrando
|
INCISIONI RUPESTRI
Incisioni rupestri sono visibili lungo gran parte del percorso intorno al Monte Bracco. Sono localizzate ad una quota di circa 750-800 m. E, nella maggior parte, a breve distanza dal sentiero percorribile. La loro ubicazione è comunque segnalata per i siti di maggiore importanza. Si presentano quali affossamenti circolari del diametro di 4 cm fino ad 8 cm disposti in raggruppamenti di numero variabile, senza una precisa o ricorrente impaginatura, ma con disposizione a volte simmetrica e a volte sparsa, in molti casi di grandezze diverse.
Le incisioni per la loro fattura concava sono denominata coppelle. Si accompagnano sovente, ad altre incisioni che possono essere definite: cruciformi (bracci equidistanti dal centro, di tipo "cristiano", a svastica ed ancora in varianti di dubbio significato); balestriformi e zoomorfe la cui presenza è più rara.
Le rocce recanti incisioni sono orientate verso Est. La concentrazione di queste sul territorio si rileva sufficientemente omogea ma con più ricche presenze presso Rocca la Casna, nel territorio di Sanfront. Il versante che guarda il fiume Po rivela maggiormente una scrittura mista completa comprendente le varie tipologie, anche se di forma elementare, estese per un vasto territorio.
Claudio Midulla
|
CAVE DEL MONBRACCO
Una montagna può essere peculiare sotto vari profili ed il Bracco lo è certamente anche sotto quello della geologia. Accantonato come pura leggenda il racconto che lo avrebbe voluto di natura vulcanica, il Monte Bracco rientra nelle Prealpi ed è molto più antico della catena montuosa che si trova alle sue spalle. Tale antichità spiega il differenziarsi delle rocce metamorfiche del Bracco, rispetto a quelle alpine. Gli esperti del settore hanno classificato tali rocce tra le metamorfiti regionali del Bacino Dora-Maira.
Regina di queste pietre, in tutte le propaggini inferiori delle valli che vanno da quella di Susa a quella del Varaita, è il cosiddetto gneiss (che si pronuncia "ghnais" ed, in tedesco antico, stava per "ruvido", "grezzo"), ma, sul nostro Monte, come sui pendii prealpini del vicino comune di Bricherasio, allo sbocco della val Pellice, si può trovare anche la quarzite. Entrambe le pietre sono state utilizzate dall'uomo nelle sue costruzioni, fin da tempi remoti. I campanili romanici dei nostri paesi (da quelli di Barge, Envie e San Massimo di Revello, fino alla torre di santa Maria di Paesana) vennero tutti costruiti prevalentemente in gneiss poco dopo l'anno mille dell'Era cristiana, da maestranze itineranti comacine.
Queste furono le prime ad applicare nozioni tecniche avanzate al campo estrattivo e la loro azione provocò una naturale imitazione da parte delle popolazioni della montagna. Non possediamo documenti cartacei significativi, ma, le opere edilizie citate, sostituiscono degnamente questo tipo di patrimonio documentale e non ci inducono sicuramente in errore. Si sfruttava il materiale lapideo che la Natura offriva, a seconda dei luoghi, tenendo presente le qualità delle pietre: il grigio gneiss poteva essere utilizzato, oltre che per produrre lastrame, anche per la realizzazione degli scapoli delle colonne, scalini, soglie, stipiti e, più tardi, balconi e terrazze o fontane ed abbeveratoi per animali, mentre la quarzite, di svariate colorazioni (dall’oliva, al giallo, all’oro, a vari toni di grigio), poteva solamente essere impiegata in lastre sottili, che, dapprima, finivano, in massima parte sui tetti, ma, poi, furono impiegate anche per creare pavimentazioni, che, sfruttando il contrasto tra varietà gialla e grigia, divennero una caratteristica del grande Barocco piemontese. Il primo documento che accenni indirettamente alle cave di quarzite del Bracco è, però, molto più antico, medievale: si tratta del capo 40 degli Statuti della Comunità di Barge, concessi dal Conte Verde, Amedeo di Savoia, nel 1374. Tale disposizione parla di una via losserie marmoire, cioè una strada che avrebbe condotto alle cave di loze di quella pietra che, fino a questo secolo, veniva definita localmente marmourina. Il nome antico era dovuto alla somiglianza esistente tra la varietà più superficiale di quarzite (di colorazione bianca ed oggi quasi totalmente scomparsa) ed il marmo bianco. Essa fu notata anche dal genio toscano Leonardo da Vinci, che, in una pagina del manoscritto “B”, conservato presso l’Archive National di Parigi, ci lasciò queste frasi:
Monbracho sopra saluzo sopra la certosa un miglio a piè di Monviso
a una miniera di pietra faldata la quale e biancha come marmo di carrara senza
machule che è della dureza del porfido obpiu delle quali il compare
mio maestro benedetto scultore a impromesso donarmene una tabulletta x li colori.
Adì 5 di genaro 1511
e, più sotto:
Arottino dà turino na alcune chesso’/berettine forte dure.
La figura dello scultore “Maestro Benedetto” è stata individuata nella persona del Briosco; autore del portale marmoreo della Certosa di Pavia: uno scultore lombardo che, in quel periodo, era al servizio del Marchese di Saluzzo e che doveva conoscere Leonardo fin dal tempo della permanenza di costui in Milano.
Leonardo non percorse mai i sentieri del Monte Bracco ma conobbe le “sue” pietre tramite l’amico scultore. D’altra parte, questo documento è ugualmente importante, perché è l’unico leonardesco a trattare del Piemonte, se si eccettua un disegno relativo ad un “navilio d’invrea”, cioè un canale artificiale eporediese. Originariamente, la quarzite fu estratta soltanto dal versante bargese (ed ebbe perciò anche il nome di Bargiolina), in località Le Piane, nella zona che ancor oggi si chiama Prima Casséra, successivamente, in epoca più recente, fu sfruttata pure la quarzite di Sanfront. Le aziende bargesi, più importanti per numero di addetti, assursero a ruolo di vera industria nel 1930, quando nacque la società anonima La Quarzite, facente capo ad un pacchetto di maggioranza gestito dall’industriale lapideo zurighese dottor Richard Hess. In quel tempo, la ditta impiegò fino a 350 operai solo in cava, senza contare quelli che prestavano la propria opera nel laboratorio cittadino. Oggi, la parte bargese del giacimento (su terreni di proprietà comunale) è gestita da due ditte: la Quarzite s.n.c. di Ferrario e la Cave Gontero. Quanto allo gneiss del Bracco, attualmente non esistono cave in esercizio, ma, un tempo, quasi tutti i proprietari di boschi sulla montagna sfruttavano i massi affioranti dal terreno (sia che fossero pareti rocciose vere e proprie, sia, in altri casi, semplici pietre di piccole dimensioni, chiamate trouvant). La produzione che se ne ricavava aveva un limitato peso economico nei Comuni di Envie e Sanfront, ma molto rilevante nel Comune di Barge, dove, nel 1897, si contavano 31 esercenti accertati, cresciuti a 82 nel 1905. Quasi tutto il materiale era lavorato in quota ed era trasportato a valle con apposite slitte di legno (le léze) e qui, era caricato sui carri. La produzione diretta a Torino era notevole: questa proseguiva via terra fino a Villafranca Piemonte, dove era imbarcata su chiatte. Proprio alla produzione lapidea bargese (e bagnolese) fu legata la vicenda del tronco ferroviario Barge-Bricherasio, aperto nel 1885 e chiuso nel 1966 e della tranvia Barge-Revello, aperta nel 1915 e smantellata nel 1935. Fin dalla fine del secolo scorso, alcune ditte bargesi più grandi, per non estinguersi, si dedicarono allo sfruttamento del più duro gneiss di Bagnolo e parte di esse trasferirono i loro lavoratori altrove. Le cave bargesi a gestione familiare chiusero quasi totalmente negli anni successivi alla seconda Guerra mondiale.
Giorgio Di Francesco
|
ARCHITETTURA
“i paesaggi della montagna costruita”
L’isola del Monte Bracco”, vero e proprio carrefour e trait d’union geografico tra i paesaggi orizzontali della piana interna cuneese e le terre verticali del gruppo del Viso, rappresenta una preziosa “lente” per comprendere quei generi di vita “intermedi” – compresi tra pianura e alta montagna – che così tanta importanza hanno avuto e continuano ad avere nella caratterizzazione dell’ambiente antropico della fascia occidentale del Piemonte.
Proprio in virtù della sua limitata altitudine, che comunque non gli impedisce di essere “vera montagna”. Il Monte Bracco costituisce infatti uno straordinario ambito geografico che permette di capire le modalità di vita e di costruzione del territorio, là dove viene praticamente a mancare l’ultimo anello – ossia l’orizzonte degli alpeggi – del tradizionale sistema alpino agro-silvo-pastorale, assenza che asseconda quella realtà storica dei “mille mestieri” (artigianato, attività estrattiva, ecc.) qui favorita dalla particolare conformazione geologica del substrato.
E sono proprio le specifiche matrici geografiche e geologiche a conferire al Monte Bracco un carattere unico, il quale si riverbera sulla struttura dei suoi insediamenti e sulla natura costruttiva delle sue architetture.
Qui il modello tipologico-insediativo della balma o barma – roccioni sporgenti sotto cui venivano costruiti edifici che sfruttavano il riparo naturale – diffuso in molti luoghi del Piemonte, raggiunge il suo massimo sviluppo. Non si tratta infatti di semplici costruzioni isolate, come talvolta capita di vedere, ma di veri e propri villaggi costruiti a ridosso degli sbalzi rocciosi, che ricordano i pueblos delle popolazioni indigene nei territori di confine tra Stati Uniti e Messico. La copertura a falde inclinate in lose, elemento centrale dell’architettura alpina, è qui praticamente inesistente, sostituita da leggeri orizzontamenti piani con funzione prettamente di isolamento. Balma Boves, articolato insediamento sul versante meridionale del Monte Bracco, abitato permanentemente fino agli anni cinquanta del Novecento, rappresenta da questo punto di vista un caso davvero straordinario, che merita di essere valorizzato anche in virtù del suo buono stato di conservazione.
E' chiaro che si tratta di insediamenti di origine molto antica, che si affiancano alla presenza diffusa sul rilievo di reperti archeologici e incisioni rupestri che testimoniano l'esistenza di presidi antropici fino alle epoche più lontane. Una strutturazione insediativa del territorio che in definitiva potrebbe dimostrarsi antecedente a quelle di tante zone di alta montagna, ritenute, spesso, a torto di matrice arcaica. Ma oltre che dalle balme, l'interesse architettonico del Monte Bracco è determinato in generale da una tecnica muraria e costruttiva fondata su un uso della pietra a secco e di lastre lapidee monolitiche per gli orizzontamenti che talvolta raggiunge risultati davvero significativi, specie alle quote più alte, dove i volumi edilizi si presentano particolarmente raccolti e chiusi - quasi una sorta di permanenza di lunga durata della casa romanico-medievale di pietra. Sulle pendici del massiccio predomina invece un modo di costruire in linea e a manica semplice - spesso tendente verso la figura a corte - che rimanda all'architettura tradizionale delle basse valli e dei pedemonti, e che riflette la finalità prevalentemente agricola di questi manufatti edilizi.
Da segnalare infine il Convento della Trappa (XIII secolo), in posizione strategica su una sella, che malgrado le profonde alterazioni subite nel corso dei secoli mostra ancora l'originale strutturazione architettonica certosina, riconoscibile nella regolare scansione geometrica per celle della lunga manica occidentale che si affaccia sull'ampia corte interna. Qui si è in presenza di un caso particolarmente interessante, dove i modelli colti dell'architettura religiosa medievale si sono intrecciati con le consuetudini costruttive locali.
Il valore dell'insediamento, oltre che della fortunata posizione geografica - punto di belvedere sulla pianura e sul gruppo del Viso - è testimoniato dall'articolazione e dalle sequenze degli spazi aperti (la corte, i portici, i patii e i cortili interni, il chiostro ancora riconoscibile) i quali conferiscono a questa struttura, malgrado gli usi e le trasformazioni contemporanee, una particolare qualità architettonica.
Antonio De Rossi
|
I COMUNI DEL MONBRACCO
Avvicinandosi alla Valle Po dalla pianura il Monte Bracco appare all’improvviso distinguendosi dal gruppo montuoso del Monviso come una barriera che restringe l’imbocco della Valle. In realtà il Monte Bracco non divide ma unisce, da sempre, i sei comuni disposti sul perimetro delle sue pendici come patrimonio condiviso di antica storia, di duro lavoro, di avvincente natura e di vere emozioni.
Barge, capoluogo della Valle Infernotto e nota per le cave di quarzite del Monte Bracco, si incontra, provenendo da Pinerolo, seguendo la statale per la Val Pellice, oppure da Villafranca Piemonte, Moretta, Cavour e Saluzzo seguendo la SS 589 dei laghi di Avigliana fino alla crociera di Barge, poco oltre l’abbazia di Staffarda.
La città, dalla storia secolare, era un tempo fortificata da due castelli di cui si possono ancora scorgere le rovine e suddivisa in tre antichi borghi: il Borgo Vecchio, l’Inferiore e il Superiore. Un campanile romanico (sec. XII) costituisce la torre campanaria della chiesa parrocchiale, opera barocca di F. Gallo (metà del XVIII sec.). Dal concentrico si raggiunge facilmente il convento della Certosa di Monte Bracco (m. 923) dove è possibile vedere la chiesa di S.Maria e i resti dell’antico cenobio. Lungo il percorso è possibile ammirare la cappella di S.Maria della Rocca. Alle pendici del Monte Bracco, in frazione Torriana, è allestito il museo etnografico “la Brunetta”.
Oltre Barge, superata “la Colletta” si raggiunge Paesana località di soggiorno estivo, sede di Comunità Montana e dell’Ufficio Turistico. Paesana fu feudo dei Marchesi di Saluzzo e successivamente appartenuta ai Savoia dopo il trattato di Lione del 1601. Si trovano esempi interessanti di arte e religiosità popolare, piloni e dipinti devozionali, tra cui affreschi del Borgna e di “Giors Boneto, pitore di Paesana”, artista popolare, itinerante delle vallate occitane tra il XVIII e il XIX sec.
La tradizione indica in un’antica costruzione della frazione Ghisola, caratterizzata da una bella architettura, la casa dove si rifugiò Re Desiderio, re dei longobardi dopo la sconfitta da parte dei Franchi di Carlo Magno. Paesana rappresenta anche il punto di raccordo tra i sentieri del Monte Bracco e quelli di “Orizzonte Monviso”, un percorso escursionistico di grande valenza paesaggistica ai piedi del Monviso.
A valle di Paesana si trova Sanfront, un paese con una storia quasi millenaria, ricca di misteri e legata alle sorti del Marchesato di Saluzzo e dei Savoia. Un paese architettonicamente caratterizzato dai portici medioevali di via Mazzini, dalla Chiesa Parrocchiale di San Martino, dal pittoresco Borgo Vecchio. Sul territorio di Sanfront si trova uno dei luoghi più affascinanti del Monte Bracco: Balma Boves e le incisioni rupestri di Rocca la Casna. In questo paese rivive un artigianato attivo rivolto alla lavorazione del legno e della pietra.
Gli amanti dell’arrampicata possono trovare sulle pendici del Monte Bracco una delle più belle pareti dove sono state aperte e segnalate molte vie di diversa difficoltà che richiamano gli appassionati delle palestre naturali di roccia.
Superato il ponte del Po, in sinistra idrografica del fiume, appare Rifreddo, un paese dalla fiorente economia agricola, disteso su un dolce e soleggiato anfiteatro, abbracciato dal massiccio del Monte Bracco: il nome del paese prende origine dall’omonimo rio che scende da questa montagna. La storia di Rifreddo è strettamente legata a quella del potente monastero femminile cistercense di Santa Maria della Stella fondato nel 1219 da Agnese figlia del Marchese di Saluzzo, Manfredi II.
Oltre alla struttura conventuale, attualmente in parte restaurata e oggetto di un ambizioso progetto di sede per il parco storico del Monte Bracco, si può osservare la facciata del palazzo comunale del XV secolo e le molte testimonianze della devozione popolare che si trovano lungo i sentieri di questo territorio.
Revello si raggiunge seguendo anche l’antica “via del sale”: un percorso naturalistico lungo il corso del fiume, lungo il Parco fluviale del Po (area protetta della Regione Piemonte). Attraverso questo percorso, un tempo, il Marchesato di Saluzzo intrattenenva i propri rapporti commerciali con la Francia attraverso lo storico Buco di Viso, primo traforo delle Alpi, nei pressi del Colle delle Traversette.
Revello, documentato nel Theatrum Sabaudiae, è sicuramente un gioiello dell’arte e della storia grazie alla vicinanza con la città di Saluzzo, sede del marchesato. Si citano, sinteticamente: la Collegiata, con la presenza di importanti opere di Pascale Odone (XVI sec.) e Hans Clemer (XV-XVI sec.), Zabreri (XV sec.) e Matteo Sanmicheli (XV sec.), la Cappella Marchionale con gli affreschi di Hans Clemer (XV sec.) e infine l’abbazia di Staffarla, uno dei più significativi complessi in stile romanico-lombardo, fondata nel 1135 dal Marchese di Saluzzo e attualmente di proprietà dell’Ordine Mauriziano. L’abbazia è inserita nel percorso storico e culturale di “Mistà” ed è in fase avanzata di restauro e di recupero funzionale. Sono transitabili, inoltre, i percorsi segnalati che permettono la visita al “sistema fortificato di Revello”.
Il percorso intorno al Monte Bracco si conclude con Envie, insediamento del popolo dei Vibii di probabile origine pre-romana. Lo storico romano Plinio (23-79 d.C.) cita, tra gli oppida della XI Regio, anche Forum Vibii, che il Savio vorrebbe localizzare presso Envie.
Oggi Envie è una moderna comunità situata alle pendici est del Monte Bracco, sede di fiorente agricoltura e di moderne aziende, conserva luoghi di fascino paesaggistico e storico importanti: la trappa del Monte Bracco, condivisa con il comune di Barge, la Grengia di Torriana, il Santuario di Madonna della Neve (S.Maria di Occa), il Castello costruito dal Marchese di Saluzzo nel 1260 e distrutto dagli Acaja nel 1336, ricostruito dai Bricherasio e ancora distrutto dai Savoia duecento anni dopo. Un territorio ricco di escursioni alla ricerca dell’arte rupestre, di una civiltà rurale ancora non dimenticata, della palestra di roccia di Rocca Bert (dal significativo nome di Vertigine) per citare ancora, infine, l’abbazia cistercense di Staffarda (Revello) come simbolica conclusione di questo breve, virtuale giro intorno al Monte Bracco alla scoperta della sua cultura e della sua storia, del patrimonio naturale e della umana ricchezza della sua gente.
|